Il Po si sta prosciugando e le conseguenze saranno drammatiche per tutte le persone che vivono sull’asta del Grande Fiume. Non deve trarre in inganno il fatto che, quest’anno, fortunatamente la situazione sia nella norma con un buon afflusso d’acqua, perché i dati degli ultimi 20 anni sono preoccupanti.
il Po per la prima volta, ha affrontato una crisi idrogeologica primaverile. L'acqua manca perché non ci sono sufficienti scorte di neve e, inoltre, piove di meno.
Tralasciando la secca storica del 2022, iniziata già in primavera e proseguita in autunno, sono quattro lustri che il Grande fiume soffre e questo vuole dire meno acqua da bere per 16 milioni di persone, meno specie viventi e meno risorse idriche per le imprese della zona che producono il 40% del Pil nazionale. Di solito la siccità colpiva con forza solo nel periodo estivo, ma due anni fa la sofferenza d’acqua fu evidente già in primavera.
Negli ultimi vent’anni il Po ha sofferto già cinque crisi idriche, quindi cinque momenti di siccità estiva. È successo negli anni 2003, 2006, 2007, 2012, 2017. Nel 2022, per la prima volta, ha affrontato una crisi idrogeologica primaverile. L’acqua manca perché non ci sono sufficienti scorte di neve e, inoltre, piove di meno. In particolare: la neve su tutto l’arco Alpino è prossima ai minimi (-55% rispetto alle medie stagionali), con punte in alcune zone che toccano il -80%.
Dal punto di vista economico, il bacino del Po include i cuori pulsanti delle attività nazionali. Secondo i dati di un report dell’Adbpo, nel bacino sono localizzate circa un terzo delle imprese italiane. Il numero complessivo di occupati è il 46% degli occupati in Italia, con un numero degli addetti prevalente nel settore industriale (oltre 3 milioni) e terziario (oltre 2,7 milioni). Il settore produttivo agricolo è molto sviluppato, occupando il più ampio nucleo di terre coltivate (3.400.000 ettari) sul totale nazionale, e copre il 35% della produzione nazionale.
Chiaro che qualsiasi impatto sull’approvvigionamento idrico del Po, che serve – ognuno a suo modo – aziende agricole, allevamenti e industrie di zona avrebbe effetti devastanti a livello economico. Tanto che Coldiretti ha cominciato a segnalare l’emergenza causata dalla siccità già a fine gennaio scorso. Anche perché la il bacino del Po concorre all’approvvigionamento di acqua potabile per 16 milioni di persone.
Nel 2016, alcuni ricercatori del Cmcc (Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici) hanno pubblicato un studio sulle proiezioni climatiche del Po nel periodo 2021-2050 rispetto al periodo di controllo 1982-2011. In generale, lo studio afferma che in futuro nell’area del bacino aumenteranno le temperature e diminuiranno le precipitazioni, così che le portate del fiume Po si ridurranno in estate, con eventi di magra più frequenti e severi, mentre aumenteranno in inverno.
Il Po si sta prosciugando e le conseguenze saranno drammatiche per tutte le persone che vivono sull'asta del Grande Fiume.
REGGIO EMILIA
Il bacino del Po ha perso 70 miliardi di tonnellate d’acqua, in 12 mesi, fra il 2021 e il 2022, l’anno della grande siccità: una quantità leggermente superiore a quella contenuta nel Lago di Garda. Sono le conclusioni a cui è arrivato uno studio di Ingv (l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) che si è avvalso delle misure fornite da stazioni Global navigation satellite system che hanno permesso di calcolare lo spostamento del terreno per valutare la quantità d’acqua presente.
Questo perché, quando il contenuto d’acqua nel terreno aumenta, esercita un carico maggiore sulla crosta terrestre e, di conseguenza, il terreno subisce uno spostamento verso il basso; il contrario accade quando il contenuto d’acqua diminuisce. Lo studio Ingv ha dunque messo in evidenza la deformazione del terreno che in alcuni punti dell’area analizzata ha raggiunto valori di sollevamento fino a quasi 1 centimetro nel periodo considerato. Sembra poco, ma porta al dato che abbiamo citato sopra.
Il Po si sta prosciugando e le conseguenze saranno drammatiche per tutte le persone che vivono sull’asta del Grande Fiume. Non deve trarre in inganno il fatto che, quest’anno, fortunatamente la situazione è nella norma con un buon afflusso d’acqua, perché i dati degli ultimi 20 anni sono preoccupanti.
Il problema non è solo la siccità, ma anche la variabilità delle condizioni fra un anno e l’altro
Francesco Tornatore, dirigente del settore pianificazione e gestione degli usi della risorsa, dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, dice: “Noi, negli ultimi trent’anni (1991-2021), non abbiamo avuto una riduzione complessiva degli apporti medi nel distretto del Po che si sono sempre attestati sugli 86 miliardi di metri cubi all’anno di media. E’ cambiata molto, invece, la variabilità interannuale. Prima si oscillava intorno a questo valore tutti gli anni, ma ora abbiamo escursioni molto più ampie. Nel 2003, per esempio, abbiamo avuto 64 miliardi di metri cubi in un anno, nel 2007 65 e nel 2022 ne abbiamo avuto 56. Invece nel 2014 abbiamo avuto 121 miliardi metri cubi e nel 2002 ne abbiamo contati 117. La variabilità interannuale, quindi, sta cambiando moltissimo. Questo perché assistiamo a una intensificazione degli eventi estremi: piove tanto e nello stesso momento e, quando non piove, restiamo senza acqua per periodi molto lunghi. In futuro ci saranno condizioni sempre peggiori. Questa è colpa del cambiamento climatico nel bacino del mediterraneo. Siamo considerati un hot spot climatico e siamo una di quelle aree dove gli effetti saranno più marcati”.
In questa area del mondo si registrano elevate temperature, ma quando arrrivano le perturbazioni che superano il blocco dell’anticiclone e il freddo incontra questo calore, tutta l’energia che c’è nell’atmosfera si sprigiona con precipitazioni molto violente e con dei downburst che generano dei minicicloni con volumi di acqua enormi.
Sono 20 anni che il Grande fiume soffre
Tralasciando la secca storica del 2022, iniziata già in primavera e proseguita in autunno, sono quattro lustri che il Grande fiume soffre e questo vuole dire meno acqua da bere per 16 milioni di persone, meno specie viventi e meno risorse idriche per le imprese della zona che producono il 40% del Pil nazionale. Di solito la siccità colpiva con forza solo nel periodo estivo, ma due anni fa la sofferenza d’acqua fu evidente già in primavera.
Negli ultimi vent’anni il Po ha sofferto già cinque crisi idriche, quindi cinque momenti di siccità estiva. È successo negli anni 2003, 2006, 2007, 2012, 2017. Nel 2022, per la prima volta, ha affrontato una crisi idrogeologica primaverile. L’acqua manca perché non ci sono sufficienti scorte di neve e, inoltre, piove di meno. In particolare: la neve su tutto l’arco Alpino è prossima ai minimi (-55% rispetto alle medie stagionali), con punte in alcune zone che toccano il -80%.
Dal punto di vista economico, il bacino del Po include i cuori pulsanti delle attività nazionali. Secondo i dati di un report dell’Adbpo, nel bacino sono localizzate circa un terzo delle imprese italiane. Il numero complessivo di occupati è il 46% degli occupati in Italia, con un numero degli addetti prevalente nel settore industriale (oltre 3 milioni) e terziario (oltre 2,7 milioni). Il settore produttivo agricolo è molto sviluppato, occupando il più ampio nucleo di terre coltivate (3.400.000 ettari) sul totale nazionale, e copre il 35% della produzione nazionale.
Il 2024 è stato un anno particolarmente clemente per la siccità nella nostra regione, ma nel 2022 e nel 2023 l’Emilia-Romagna, storicamente una delle regioni agricole più produttive d’Italia, si è trovata a doer affrontare una crisi idrica senza precedenti. La siccità del fiume Po, il più lungo d’Italia e un’importante risorsa idrica per l’intera Pianura Padana, ha avuto e avrà, se continua così, effetti devastanti sull’agricoltura, sull’industria e sull’ambiente, minacciando il benessere economico e sociale della regione.
Nel 2016, alcuni ricercatori del Cmcc (Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici) hanno pubblicato un studio sulle proiezioni climatiche del Po nel periodo 2021-2050 rispetto al periodo di controllo 1982-2011. In generale, lo studio afferma che in futuro nell’area del bacino aumenteranno le temperature e diminuiranno le precipitazioni, così che le portate del fiume Po si ridurranno in estate, con eventi di magra più frequenti e severi, mentre aumenteranno in inverno.
Impatto sull'agricoltura
L’agricoltura dell’Emilia-Romagna, rinomata per la coltivazione di pomodori, mais, frutta e ortaggi, dipende fortemente dall’irrigazione. Tuttavia, la scarsità d’acqua ha già portato a una riduzione della superficie coltivata e a una significativa diminuzione dei raccolti. Coldiretti Emilia-Romagna ha stimato che le perdite economiche per gli agricoltori locali nel 2023 hanno superato il miliardo di euro, una cifra destinata ad aumentare se la situazione non migliorerà a breve. La carenza d’acqua non solo riduce la produttività, ma aumenta anche i costi di produzione, poiché gli agricoltori sono costretti a ricorrere a soluzioni più costose e meno sostenibili per mantenere le loro colture.
Conseguenze per il settore industriale
Il calo del livello del Po non colpisce solo l’agricoltura. Anche il settore industriale, che utilizza l’acqua del fiume per il raffreddamento e la produzione, è in grave difficoltà. Diverse aziende situate lungo il fiume, nel 2022 e nel 2023, hanno dovuto rallentare o addirittura interrompere la produzione a causa della ridotta disponibilità d’acqua. Questo ha aggravato una crisi economica già resa difficile dalla situazione post-pandemia e dalle sfide legate all’approvvigionamento energetico. La combinazione di questi fattori sta creando un quadro preoccupante per l’economia regionale, che rischia di vedere ridotta la propria competitività e capacità produttiva.
L'intrusione salina e la crisi ambientale
Uno degli effetti più allarmanti della siccità del Po è l’intrusione salina, un fenomeno che si verifica quando il livello del fiume scende al punto di non poter più impedire all’acqua salata del mare Adriatico di risalire l’estuario. Questo fenomeno non solo rende l’acqua del fiume inutilizzabile per l’irrigazione e il consumo umano, ma danneggia irreparabilmente l’ecosistema fluviale. La zona del Delta del Po, una riserva naturale di importanza internazionale, è particolarmente a rischio. L’invasione dell’acqua salata minaccia la biodiversità della regione, mettendo in pericolo numerose specie di flora e fauna che dipendono dall’acqua dolce del Po.
Risposte e soluzioni possibili
Di fronte a questa emergenza, le autorità locali e nazionali stanno cercando soluzioni a lungo termine. Tra le proposte in discussione ci sono la costruzione di nuovi invasi per la raccolta dell’acqua piovana, l’implementazione di tecniche di irrigazione più efficienti e il miglioramento della gestione delle risorse idriche esistenti. L’Emilia-Romagna, in collaborazione con altre regioni della Pianura Padana, sta anche esplorando la possibilità di potenziare i sistemi di desalinizzazione e di riutilizzo delle acque reflue per l’irrigazione, come parte di una strategia integrata per affrontare la crisi idrica. Tuttavia, queste soluzioni richiedono tempo, investimenti e un cambiamento significativo nelle pratiche agricole e industriali. Tornatore: “Il sistema agricolo si deve adattare ai cambiamenti”
Continua Tornatore: “Il problema è che il nostro sistema agricolo è stato concepito, nei secoli, per adattarsi ai livelli pluviometrici del passato. Quel sistema adesso non è più adeguato. Faccio un esempio. Noi abbiamo 200mila ettari dedicati alla risicoltura. Per produrre il riso, nell’area maggiormente dedicata sul bacino del Po, servono 4 miliardi di metri cubi di acqua in un anno. A monte c’è il lago Maggiore, ma può fornire solo 150 milioni di metri cubi d’acqua. Un tempo venivano allagate le risaie ad aprile quando si scioglievano le nevi. Quei 150 milioni di metri cubi di acqua servono solo per allagarle. Poi è necessario un volume giornaliero. Questa tecnica i contadini la stanno abbandonando per ragioni economiche. La risaia viene così allagata a giugno, quando l’acqua è meno e serve anche per altre culture e in particolare il mais. Inoltre, per poter allagare la risaia devi mettere molta più acqua in quel periodo, perché devi portare su la falda e ti serve più acqua che nel mese di aprile. Questo ha cambiato tutto mettendo in difficoltà il sistema”. L’alternativa sarebbe quella di riprendere, magari con dei contributi, pratiche che sono diseconomiche, ma che permettono di usare meno acqua e di usarla quando ce n’è di più. Si calcola che servano circa sedici miliardi di metri cubi di acqua l’anno per tutte le cultura nella pianura padana, ma è quasi impossibile ottenerli, anche con gli stoccaggi. Tornatore: “Gli invasi non bastano”
Ragiona Tornatore: “Senza l’apporto delle piogge non ci si sta dentro. Certo si possono fare gli invasi che possono contribure, ma non possono essere l’unico strumento per risolvere il problema dell’agricoltura in un contesto di cambiamento climatico. Bisogna ragionare sul modo in cui gestiamo la risorsa acqua. Nel mais, per esempio, sistemi irrigui come lo scorrimento non ce li possiamo più permettere. Se devi ottimizzare la gestione della risorse, devi pensare a sistemi di irrigazione come quello ad aspersione e a goccia. Gli agricoltori dovrebbero diversificare le modalità di gestione della risorsa acqua. Piuttosto che realizzare dieci invasi, è meglio dare gli aiuti agli agricoltori e fargli fare la sommersione in aprile per il riso. Bisogna efficientare le risorse idriche prima di investire in dighe. Prima di fare l’invaso, guardiamo quanto ce ne serve”.