Provincia di Trapani TP24 Novembre 9, 2023

Provincia di Trapani

Autore
Enzo Biagi
Data
30 ottobre 2023

L’aria è ferma, le colline arse, e gli ulivi centenari, un tempo generosi, si piegano sotto il peso di frutti raggrinziti, come se anche la natura stesse trattenendo il respiro. I limoni non sono più succosi come una volta. Il bestiame è costretto ad abbeverarsi in pozzanghere. I laghi sono spariti.  Tutto questo  racconta una storia di cambiamento climatico che sta riscrivendo il destino della Sicilia, un’isola che mai come oggi ha sofferto il caldo e la siccità.

Le antiche tradizioni agricole lottano per sopravvivere, mentre le piogge scarse e le temperature sempre più alte spingono il territorio verso una nuova realtà. L’acqua, risorsa vitale, si fa sempre più preziosa, e i suoi sprechi, appaiono come ferite aperte in un paesaggio che si trasforma sotto l’incalzare del riscaldamento globale. Questo non è solo un anno difficile, ma l’avanguardia di un futuro che mette alla prova la resilienza di una terra e del suo popolo.

UN ANNO SENZA PIOGGIA

La Sicilia è in ginocchio, stretta nella morsa di una delle siccità più estreme mai registrate nella sua storia recente. Il 2023 è stato un anno segnato da una grande sete, con il caldo torrido e le scarse precipitazioni che hanno spinto l’isola verso una crisi idrica senza precedenti. Secondo un’analisi del World Weather Attribution, l’Indice Standardizzato di Precipitazione ed Evapotraspirazione (SPEI) ha rivelato che il cambiamento climatico, con il suo incessante aumento delle temperature, è il principale responsabile della gravità di questo fenomeno. Non sono state tanto le piogge a mancare — le variazioni nelle precipitazioni sono state limitate — quanto il caldo estremo che ha fatto evaporare ogni traccia d’acqua dal suolo e dalle piante.

Le cifre sono impressionanti: da settembre a dicembre 2023, il deficit di piogge ha toccato i 220 millimetri, con alcune province, come Enna e Catania, che hanno registrato una riduzione delle precipitazioni rispettivamente dell’81,5% e dell’80%. In alcune aree, l’ultimo mese dell’anno ha visto cali fino al 96%. Questi numeri raccontano di un’isola inaridita, dove la terra è sempre più secca, le riserve d’acqua si prosciugano, e il futuro appare incerto.

Ciò che rende la situazione ancora più drammatica è che, senza l’effetto del riscaldamento globale indotto dall’uomo, questa siccità non sarebbe stata classificata come “estrema”. Secondo gli scienziati, infatti, i cambiamenti climatici hanno reso questo tipo di eventi il 50% più probabile. Se non si interviene per ridurre le emissioni di gas serra, fenomeni come questo diventeranno la norma: siccità più intense, più frequenti e più devastanti colpiranno non solo la Sicilia, ma gran parte dell’Europa meridionale.

Questa grande sete non è solo una sfida climatica, ma anche una questione di sopravvivenza per un’isola che ha sempre fatto della sua agricoltura e cultura rurale una parte fondamentale della propria identità.

Stefano Terranova
INFRASTRUTTURE OBSOLETE

Ma il vero problema non è solo il caldo. Anche le infrastrutture obsolete e la gestione inefficace delle risorse idriche giocano un ruolo chiave nel peggioramento della crisi. Mentre i bacini idrici si prosciugano, la Sicilia è costretta a fare i conti con razionamenti d’acqua sempre più frequenti, che colpiscono tanto i cittadini quanto gli agricoltori, costretti a ridurre i raccolti e ad abbattere gli animali per mancanza di risorse. Il turismo estivo, che porta con sé un ulteriore carico sulle riserve d’acqua già compromesse, non fa che aumentare la pressione sulle risorse idriche.

Questa “grande sete” non è solo una sfida climatica, ma anche una questione di sopravvivenza per un’isola che ha sempre fatto della sua agricoltura e della sua cultura rurale una parte fondamentale della propria identità. I raccolti di grano sono crollati, gli ulivi si seccano e le piante non riescono a sopravvivere a temperature che superano regolarmente i 40°C. Le previsioni per il futuro non sono incoraggianti: se le temperature globali dovessero aumentare di altri 0,7°C, la siccità attuale, classificata come “estrema”, potrebbe diventare “eccezionale”, un’ulteriore dimostrazione del peso insostenibile del cambiamento climatico.

LE NOTTI TROPICALI

Le temperature in Sicilia stanno diventando sempre più simili a quelle del Maghreb, con giornate roventi seguite da notti tropicali, un chiaro segnale dei cambiamenti climatici in atto. Nel 2024, l’isola ha già registrato un triste record: ben 26 notti tropicali, superando il precedente primato del 2003, quando se ne contarono 23, e l’estate è ancora in corso. Le “notti tropicali” sono quelle in cui le temperature minime non scendono mai sotto i 20°C, e in alcune località siciliane le temperature notturne hanno raggiunto persino i 27-28°C.

Secondo i dati del Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano (SIAS), questo è l’anno con il maggior numero di notti tropicali degli ultimi vent’anni. Sebbene negli anni passati, come nel 2021 e 2023, ci siano state ondate di calore più intense, è la durata prolungata delle alte temperature notturne a preoccupare maggiormente quest’anno.

TRASFERIRE I PESCI DEI LAGHI CHE SI PROSCIUGANO

 Tra giugno e luglio del 2023, tre grandi bacini d’acqua sono praticamente scomparsi: il Lago di Pergusa, l’Ogliastro e anche il Fanaco. Il prosciugamento di questi invasi è solo l’ultimo segnale di una crisi che ha già causato la perdita di quasi 300 milioni di metri cubi d’acqua nell’arco di un anno, mettendo in ginocchio il sistema idrico della regione. Nella provincia di Palermo, alcuni invasi registrano una riduzione del 96% rispetto alla portata dell’anno precedente, un dato che testimonia la gravità della situazione.

La siccità ha costretto la Regione Sicilia a misure straordinarie: i gestori delle dighe sono stati incaricati di monitorare attentamente i livelli d’acqua per evitare che il prosciugamento totale degli invasi provochi una morìa della fauna ittica. In diversi bacini artificiali, infatti, la sopravvivenza di carpe, ciprinidi e lucci è a rischio, e il trasferimento della fauna è ormai una necessità. La Regione ha stabilito dei livelli minimi di sicurezza: ad esempio, nel bacino artificiale di Ancipa, situato nel Parco dei Nebrodi, l’acqua non potrà scendere sotto i 9,5 metri, mentre per l’invaso del Fanaco il limite è fissato a 5,5 metri.

Per prevenire una catastrofe ecologica, è stato avviato un complesso piano di trasferimento dei pesci. La società Macrostigma, incaricata delle operazioni, sta lavorando per trasferire tonnellate di pesci in bacini ancora in grado di sostenerli, come il Lago Sciaguana, in provincia di Enna, e il Lago di Lentini, in provincia di Siracusa. Il trasferimento viene effettuato con grande cura: i pesci vengono catturati con nasse da pesca e reti, poi spostati in vasche con ossigenazione e temperatura controllata prima di essere trasportati nei nuovi bacini.


L’intervento mira non solo a salvare la fauna ittica, ma anche a rendere utilizzabili i cosiddetti “volumi morti”, cioè il residuo di acqua che, in presenza di pesci, non può essere sfruttato per scopi potabili. Tuttavia, l’operazione non è priva di rischi. Legambiente ha espresso serie preoccupazioni sulla compatibilità tra i bacini di partenza e quelli di destinazione, temendo che un errore nella valutazione possa compromettere ulteriormente la già fragile fauna ittica. L’associazione ha inviato una diffida agli enti regionali, chiedendo maggiori garanzie sull’esito dell’intervento.

La scomparsa dei laghi non è solo un segnale d’allarme ambientale, ma un sintomo del collasso di un intero sistema di gestione delle risorse, messo in ginocchio dal cambiamento climatico e da decenni di infrastrutture obsolete e manutenzione inadeguata.

LA CRISI DI AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO

 In Sicilia, un tempo terra di grano, limoni e olive, i cambiamenti climatici stanno provocando una trasformazione radicale. Con l’aumento delle temperature e precipitazioni sempre più imprevedibili, molti agricoltori stanno abbandonando le colture tradizionali per dedicarsi a frutti esotici come mango, avocado, e persino papaya e banane. Questa evoluzione, forzata dal clima, sta trasformando l’isola in un vero e proprio paradiso tropicale, rendendo la Sicilia una delle prime regioni europee a dover adattare l’agricoltura a un clima più caldo.

Agricoltori come Pietro Coccia, che un tempo coltivavano limoni e olive, oggi vedono nei frutti tropicali una risposta alle sfide imposte dal riscaldamento globale. La siccità e gli incendi stanno mettendo a dura prova le colture tradizionali, mentre i ricercatori siciliani, insieme alle università, stanno studiando varietà di grano resistenti al calore per preservare la produzione agricola dell’isola.

L’imprenditore Francesco Verri ha persino avviato una rete di piccoli coltivatori specializzati in frutti tropicali, promuovendo un marchio “made in Sicily” per sensibilizzare i consumatori sui cambiamenti climatici e integrando questi frutti nella tradizione culinaria siciliana. Tuttavia, il rischio di desertificazione, che minaccia circa il 70% del territorio, rimane una delle sfide più drammatiche per il futuro dell’isola.

I LIMONI ASCIUTTI

Rosario Cognata passeggia sconsolato per il suo agrumeto. Lo incontriamo a Campobello di Mazara, nella provincia di Trapani. E’ un giovane produttore di limoni. Ma quest’anno per lui è stata molto dura. Le piogge sono state assenti e il suo prodotto è andato in malora. Ci mostra i limoni bruciati dal sole. “Non hanno più la polpa come dovrebbero, l’interno del limone ha raggiunto temperature molto elevate. Cadono dagli alberi a causa dello stress proprio perché l’albero non riesce più sostenerli. La polpa all’interno è bruciata, scura e non idonea al consumo”. Cognata dice di aver perso il 30-40% della produzione. Ma c’è chi ha dovuto buttare via molto di più.

E’ un giovane agricoltore, Rosario, che ha preso in mano la passione e il lavoro della famiglia. “Il problema non è solo la produzione di quest’anno, ma il gran caldo e l’assenza di acqua ha compromesso le piante anche per il prossimo anno. Sempre se non farà lo stesso caldo e non avremo questa assenza di pioggia”. In un territorio dove si soffre molto l’emigrazione giovanile annate come queste, per chi decide di restare, sono traumatiche. “Questa è una terra destinata a restare deserta. I giovani lasceranno la terra e lasceranno questo territorio, se continua così”, aggiunge Rosario.

“Parliamo di siccità perché non piove, ma parliamo anche di cattiva gestione di ciò che abbiamo a disposizione, perché non sta piovendo, è vero, ma l’acqua che abbiamo non sappiamo come gestirla, e io parlo del ‘noi’, ma la responsabilità non è degli agricoltori, non è nostra, è di coloro che dovrebbero assicurarsi che questa piccola quantità d’acqua sia ben distribuita, e non lo è”.

Parliamo di siccità perché non piove, ma parliamo anche di cattiva gestione di ciò che abbiamo a disposizione.
LE OLIVE RAGGRINZITE

Soffre anche la Nocellara del Belice, un tipo di oliva particolare, grossa e rotonda. Si produce nel Belice, tra le province di Trapani ed Agrigento. Se ne ricava un olio extravergine eccezionale. Ma quest’anno per il caldo e l’assenza di acqua la produzione si è ridotta del 50%. Le olive per l’assenza di acqua nel periodo tra giugno e luglio crescono più piccole, e le vediamo raggrinzite. Le mostra con rassegnazione Rocco Mangiaracina, anche lui è molto giovane, anche lui ha deciso di restare a Castrelvetrano per produrre olio extravergine d’oliva.

UNA VENDEMMIA DIFFICILE

E’ una delle province con più vigneti Trapani, e qui la vera industria è il vino.
Gli agricoltori  hanno dovuto correre contro il tempo, contro il sole che stava bruciando i frutti. Correre per salvare ciò che avevano seminato. Così anche per la vendemmia, iniziata prima per recuperare qualcosa dopo un 2023 segnato dalla peronospora.  La vendemmia in Sicilia per il 2024 si presenta con un bilancio contrastante, fortemente segnato dalle condizioni climatiche avverse e dalle difficoltà nella gestione delle risorse idriche. La Cia Sicilia Occidentale ha delineato un quadro complesso: mentre alcune aree delle province di Palermo e Trapani possono aspettarsi una raccolta di qualità, altre zone, come l’areale mazarese, affrontano perdite drammatiche che oscillano tra il 50 e il 70%.

Il sentore c’era già in inverno. Davide Piccione ha diversi ettari di terreno nel mazarese, sempre in Sicilia occidentale. In inverno, prima ancora che le piante dessero dei frutti, si vedevano gli effetti di mesi senza piogge e senza irrigazione. Ci mostrava la pianta praticamente secca. “Ogni pianta produrrà pochi chili di uva, a differenza degli altri anni. Se non piove gli effetti saranno drammatici”, racconta.

IL PARADOSSO DELLA DIGA CHE BUTTA L’ACQUA

In un anno segnato dalla siccità più grave degli ultimi decenni, il paradosso della Diga Trinità nel trapanese è emblematico: mentre la siccità colpisce duramente agricoltori e coltivatori, milioni di litri d’acqua vengono sprecati in mare. La causa? Le paratie della diga, mai collaudata sin dalla sua costruzione nel 1959, vengono aperte per motivi di sicurezza. Così, mentre l’acqua potrebbe alleviare la sete dei campi, viene lasciata defluire inutilmente.

Un vero scandalo in un momento in cui “neppure un bicchiere d’acqua dovrebbe essere perso”. Il problema è noto da anni: la Diga Trinità, situata nel territorio di Castelvetrano, non è mai stata messa in sicurezza e, di conseguenza, il suo invaso non può essere riempito oltre un certo livello, pena il rischio di cedimenti. Con l’arrivo delle prime piogge, l’acqua inizia ad accumularsi, ma le paratie restano aperte per evitare che il livello superi la soglia di sicurezza.

Questa situazione, oltre a rappresentare una beffa per gli agricoltori, che si trovano a fronteggiare un’estate senza acqua per irrigare, evidenzia il fallimento della gestione delle infrastrutture idriche in Sicilia. Gli agricoltori della valle del Belice, in particolare, guardano impotenti allo spreco d’acqua, mentre i loro raccolti sono compromessi. Nel frattempo, il governo nazionale ha minacciato di chiudere definitivamente la diga se non verranno effettuati lavori di messa in sicurezza.

LA SFIDA DIFFICILE

La sfida è duplice per la Sicilia da un lato, occorre intervenire per migliorare la gestione delle risorse idriche, limitando le perdite d’acqua dovute all’invecchiamento delle tubature e aumentando la capacità di stoccaggio. Dall’altro, è essenziale rispettare gli impegni internazionali per ridurre le emissioni e fermare questa corsa verso un clima sempre più caldo e instabile. Solo così la Sicilia potrà sperare di uscire da questo incubo di siccità e tornare a vivere, anche se in un mondo profondamente cambiato.