Terra di Bari CoratoLive Novembre 7, 2024

Terra di Bari

Autore
Enzo Biagi
Data
30 ottobre 2023

L’11 agosto 2024 è una data che il mondo dell’agricoltura pugliese, in particolare quello di Capitanata, ricorderà a lungo. È la data in cui sono stati rilasciati gli ultimi due milioni di metri cubi di acqua disponibili per uso irriguo della diga di Occhito, il più grande invaso artificiale al confine tra Puglia e Molise.

Esattamente un anno prima la disponibilità idrica era di 170milioni di metri cubi. A distanza di 365 giorni la disponibilità si è ridotta ad appena 46milioni di metri cubi, un quarto dell’anno precedente, facendo scattare il blocco per uso irriguo, così da evitare l’emergenza per usi civili.

Già da diverse settimane gli agricoltori pugliesi si stavano preparando al peggio. La lunga serie di incontri tra rappresentanti delle associazioni di categoria e figure istituzionali, nel tentativo di trovare una soluzione nell’immediato, non è stata proficua. La chiusura dei rubinetti ha tolto il velo da una serie di problematiche che da tempo agricoltori e allevatori hanno sollevato ma che ancora non sono state risolte.

Milioni di metri cubi d'acqua evaporati. Produzioni agricole e allevamenti in ginocchio. Gli effetti del cambiamento climatico mettono in ginocchio un territorio da sempre sitibondo

Zolle aride per decine e decine di metri: così "evapora" l'invaso del Basentello

La terra spaccata dal sole lì dove, fino a non troppo tempo fa, era tutto sommerso. Il colpo d’occhio del lago Serra di Corvo, invaso al confine tra Puglia e Basilicata, nei territori di Gravina e Genzano di Lucania, delimitato dalla diga del Basentello, offre senza dubbio una rappresentazione plastica della mancanza d’acqua su Murgia e dintorni. Zolle aride per decine e decine di metri che aumentano la sofferenza di un territorio da sempre sitibondo.

Negli ultimi anni, la situazione dell’invaso è peggiorata in fretta. «Il livello del lago si è di molto abbassato, basta guardare i bordi dello sbarramento della diga per rendersi conto dove arrivava l’acqua un tempo e dove arriva oggi» spiega Pietro Amendolara, fotografo e profondo conoscitore di questi luoghi. Nel 2022 l’abbassamento del livello dell’acqua ha persino fatto riemergere un vecchio ponte che collegava la strada tra Basentello e Irsina. «Un fatto che generò molto scalpore tra gli agricoltori i quali, a valle, utilizzano quest’acqua per irrigare i campi. Ci fu anche una manifestazione di protesta da parte dei contadini che si presentarono sullo sbarramento con i trattori».

Secondo i dati diffusi dall’autorità di bacino distrettuale dell’Appennino meridionale della Basilicata, nel settembre 2019 il “volume invasato netto” del lago era di 18.734.933 metri cubi. Anno dopo anno, il livello è sceso prima a 15.6 milioni, poi a 13.2, quindi in picchiata fino ai 4 del 2022. Dopo una piccola risalita nel 2023 (6.9 milioni), nel 2024 i dati sono crollati e a settembre di quest’anno si contano appena 131.233 metri cubi. In pratica, in cinque anni l’invaso ha perso 18 milioni e mezzo di metri cubi d’acqua.

«È il segno di qualcosa che sta cambiando – sottolinea Amendolara – dobbiamo sperare che questa oasi di pace possa continuare ad avere acqua».

Produzioni in ginocchio

ntanto si contano i danni. La richiesta dello stato di calamità naturale e i ristori che ne conseguiranno sono soltanto una “toppa” annuale ad un problema divenuto ormai strutturale. Le perdite stimate oscillano tra il 40% e il 60%, con alcuni settori particolarmente compromessi, come quello del grano duro, che ha subito un crollo significativo della produzione.

Non è rimasto indenne nemmeno il settore vitivinicolo. Le elevate temperature e la mancanza di piogge hanno accelerato la maturazione dell’uva, costringendo i viticoltori ad avviare la campagna di raccolta dell’uva da vino e dell’uva da tavola con 15-20 giorni di anticipo rispetto al calendario tradizionale. Nonostante la qualità del prodotto non sembri essere compromessa, si registra un netto calo della resa, fenomeno che mette a rischio la competitività dei produttori locali sui mercati nazionali e internazionali.

Un altro settore duramente colpito è quello della mandorla pugliese, per il quale si prevede una riduzione della produzione pari al 60%. Anche l’olivicoltura, simbolo della tradizione agricola regionale, non è immune alle difficoltà: la produzione di olio d’oliva potrebbe subire una riduzione del 30% rispetto all’anno scorso, principalmente a causa della scarsa disponibilità di acqua per l’irrigazione. La crisi idrica non riguarda solo le colture estive e autunnali, ma sta già influenzando negativamente le semine di verdure e ortaggi che dovrebbero essere raccolti nei mesi invernali.

Siccità, una minaccia anche per gli allevamenti

Di periodi siccitosi ne abbiamo vissuti molti, anche negli anni scorsi, ma una situazione del genere davvero non si era mai vista prima» è il grido disperato di Leonardo Santucci, allevatore di Monte Sant’Angelo.

Nella città dei due siti Unesco, per non far morire di sete i propri animali e provvedere alla loro igiene e a quella delle stalle, gli allevatori hanno dovuto comprare l’acqua, facendola arrivare in autobotti. Il Comune ha dovuto fare la propria parte, offrendo ristori agli allevatori per coprire parzialmente le spese. Senz’acqua anche il foraggio ha cominciato a scarseggiare, con l’effetto di una riduzione anche delle produzioni di latte. Un effetto domino di enormi dimensioni.

La situazione nel Nord Barese

Non è soltanto l’area del foggiano ad aver risentito dell’estate siccitosa. Il problema è diffuso e non ha risparmiato nessuna delle sei province pugliesi. A Corato, città simbolo della produzione olivicola grazie alla cultivar Coratina, la siccità ha messo in crisi il settore.
I pozzi non ce la fanno più. Il livello della falda si è abbassato e, in una terra che dista appena otto chilometri dal mare, i pozzi hanno iniziato a idrare acqua salmastra.

«Acqua marina» afferma allarmato l’agronomo Salvatore Bucci, imprenditore agricolo e presidente di una comunione irrigua. Un’acqua inservibile se non dannosa alle piante che sarebbero corrose dall’alta concentrazione di sale.  «Le pompe – ricorda il dottor Bucci – stanno avendo grossi problemi, perché con l’abbassamento del livello occorre un maggior consumo anche di energia».

Il timore di chi lavora la terra è il rischio di una repentina desertificazione che si tradurrebbe in una emergenza sociale senza precedenti. «Non possiamo vivere di emergenze; eventuali ristori derivanti dallo stato di calamità non risolverebbero il problema. È una questione climatica che rischia di alimentare problemi di natura economica e persino di approvvigionamento di cibo e prodotti. Siamo preoccupati» aggiunge Bucci.

Le stesse perplessità e gli stessi timori sono condivisi da Tommaso Loiodice, presidente nazionale Unapol, Unione nazionale associazioni produttori olivicoli.

È il segno di qualcosa che sta cambiando – sottolinea Amendolara – dobbiamo sperare che questa oasi di pace possa continuare ad avere acqua
Siccità, una minaccia anche per gli allevamenti

Di periodi siccitosi ne abbiamo vissuti molti, anche negli anni scorsi, ma una situazione del genere davvero non si era mai vista prima» è il grido disperato di Leonardo Santucci, allevatore di Monte Sant’Angelo.

Nella città dei due siti Unesco, per non far morire di sete i propri animali e provvedere alla loro igiene e a quella delle stalle, gli allevatori hanno dovuto comprare l’acqua, facendola arrivare in autobotti. Il Comune ha dovuto fare la propria parte, offrendo ristori agli allevatori per coprire parzialmente le spese. Senz’acqua anche il foraggio ha cominciato a scarseggiare, con l’effetto di una riduzione anche delle produzioni di latte. Un effetto domino di enormi dimensioni.