Valle d’Aosta Aosta Sera Novembre 5, 2024

Valle d’Aosta

Autore
Enzo Biagi
Data
30 ottobre 2023
La neve di domani

La Valle d’Aosta, che ha un terzo della superficie glaciale d’Italia, ha perso 32 ghiacciai negli ultimi 22 anni. I restanti 184 si stanno invece ritirando ad una velocità impressionante: ben 1.5 chilometri quadrati all’anno. Questo è solo uno degli effetti del cambiamento climatico che la regione più piccola d’Italia sta mostrando negli ultimi 20 anni. Questi cambiamenti sono legati essenzialmente all’intensificazione del ciclo dell’acqua, degli eventi estremi correlati ad esso (frane, valanghe, alluvioni) e ai cambiamenti nella criosfera (neve, ghiacciai, permafrost).

Nel frattempo, però, l’aumento delle temperature e le sempre più scarse nevicate hanno introdotto un altro grande quesito: quello della sostenibilità del turismo invernale legato allo sci. Nel 2023 la Valle d’Aosta è la prima meta per le settimane bianche degli italiani insieme al Trentino Alto Adige con il 13,4% di preferenze. L’ultima stagione invernale (2023/24) ha registrato 3.711.069 presenze, un +11,56% rispetto alla stagione precedente, è stato un anno record anche per gli arrivi che sono cresciuti del 12,63%. Il fatturato degli impianti a fune cresce di conseguenza con il 19% in più della stagione precedente e un bilancio di poco sotto i 119 milioni di euro (ansa).

Gli impianti a fune in Valle d’Aosta, soprattutto nei grandi comprensori di Pila, Cervinia, Courmayeur e La Thuile, stanno continuando ad attirare turisti, creare posti lavoro e fatturare in positivo. Ma, la possibilità di praticare sport invernali dipende dalla frequenza e dall’affidabilità delle precipitazioni nevose. Precipitazioni nevose che – secondo le previsioni degli scienziati in questo caso il Rapport Climat stilato dalla Regione Valle d’Aosta nel 2019 – nei prossimi dieci anni subiranno variazioni notevoli. È previsto un aumento delle precipitazioni invernali (+15/+20%), in particolare di quelle piovose, e una riduzione delle precipitazioni nevose al di sotto di 2300/2500 metri. Inoltre, rispetto agli anni ’70, nelle Alpi settentrionali, la ​durata del manto nevoso tra 1100 m. e 2500 m. si è ridotta di 5 settimane.

L’innevamento artificiale è la prima soluzione al problema della neve ed è in grado di fornire risultati anche piuttosto soddisfacenti: secondo gli scienziati, il numero di giorni durante le vacanze natalizie con almeno 30cm di neve naturale e tecnica non subirà riduzioni né al 2030 né al 2050. Ma la neve artificiale è anche molto dispendiosa sia per quanto riguarda la risorsa idrica sia quella energetica e per sparare sono necessarie condizioni specifiche, ovvero i giorni di gelo (giorni dell’anno con temperatura minima <0°C) che secondo il Rapport Climat diminuiranno di circa il 10% entro il 2035 e del 16%/18% entro la fine del secolo nelle zone di media e alta montagna (dai 1000 metri in poi). La seconda soluzione adottata è quella di spostare gli impianti sempre più in alto; è da anni allo studio un progetto nel Vallone protetto delle Cime Bianche tra la Val d’Ayas e la Valtournenche a quota 2980 metri, in cui si vorrebbe costruire un nuovo comprensorio sciistico dal costo stimato di oltre 150 milioni di euro, in parte finanziato dalla Regione. Una proposta contestata anche per l’impatto ambientale di un’opera di queste proporzioni, soprattutto in una regione che conta diversi impianti di risalita abbandonati. Come se non bastasse, gli studi climatici degli ultimi 20 anni, sostengono che l’arco alpino è una delle zone in cui l’incremento delle temperature sarà fino a tre volte maggiore rispetto alla media dell’emisfero boreale. Riuscirà lo sci a sopravvivere a queste prospettive in modo sostenibile o è destinato a diventare una pratica per pochi ricchi a costo di “sfruttare” una grande quantità di risorsa idrica ed energetica?

Bionaz, la patria del biathlon che punta sullo snowfarming

A Bionaz è un inizio di aprile caldo. In maglietta una decina di persone stanno coprendo con degli appositi teli una montagnola di neve. È il deposito dello snowfarming, un’attività su cui il comune della Valpelline ha deciso di investire da un paio d’anni: accumulare neve (artificiale) nel periodo invernale, stoccarla e poi utilizzarla già dall’autunno. Bionaz, paesino della Valle d’Aosta a 1.600 metri di quota con 221 abitanti (dati Istat al 1° gennaio 2023), è la patria valdostana del biathlon. Agli scorsi Mondiali di Nove Mesto c’erano ben cinque bionassins: da Patrick Favre, allenatore della Francia femminile “pigliatutto”, a Mattia Nicase e Christian Favre, skiman e direttore tecnico dell’Italia, fino agli atleti Julien Petitjacques, che corre per il Belgio, e soprattutto Didier Bionaz, che con la staffetta mista azzurra è stato capace di vincere un argento ai Mondiali di Oberhof del 2023.

Proprio Didier Bionaz è una di quella decina di persone che stanno coprendo il cumulo di neve: “Quello che fa il Comune è un grande progetto”, dice. “Grazie allo snowfarming si può iniziare a sciare molto prima, già a novembre. È una tecnica che viene utilizzata da molto tempo in diversi posti, come Trentino o Scandinavia. Secondo me è un progetto che sarà il futuro degli sport invernali, perché col cambiamento climatico in atto è sempre più difficile poter sciare”. L’amministrazione comunale di Bionaz, guidata dal sindaco Valter Nicase, crede e punta molto su questo progetto. “Vedere che insieme a noi ‘vecchietti’ ci sono i giovani a dare una mano mi fa capire che stiamo andando nella direzione giusta”, dice. “Abbiamo aperto l’impianto attorno al 10 novembre 2023, coprendo circa 1,3 km di pista. A novembre avevamo ad allenarsi comitati e sci club, persone che si fermano sul territorio, e a cui abbiamo dato un servizio. Siamo riusciti a fare una gara di biathlon a dicembre: erano 15 anni che non succedeva”.

Il cumulo di neve sorge proprio di fianco al poligono di tiro e alla pista (che d’estate viene utilizzata per lo skiroll). Nel primo anno sperimentale erano stati accumulati 3.400 metri cubi di neve, nel 2023 erano 4.300 e al termine dell’inverno 2024 erano 3.800. Prima di venire scoperto, inevitabilmente il mucchio diminuisce di una cifra che, per essere considerata positiva, si attesta attorno al 30%. “Il nostro obiettivo sarebbe aprire la prima settimana di novembre con una pista di 2 km, ma per farlo ci vorrebbero almeno 5-7.000 metri cubi di neve”, spiega Nicase. I volumi di produzione – e di successiva perdita – dipendono ovviamente dalle condizioni climatiche. Quest’anno si sono avuti dei mesi invernali molto caldi e con poche precipitazioni, causando uno scioglimento della neve abbastanza consistente. Quindi, lo snowfarming è sostenibile? “Sono conti difficili da fare, perché il Comune e la Regione, che fortunatamente ha deciso di credere in questo progetto con una legge regionale, hanno investito spese importanti”, prosegue il Sindaco. “Probabilmente un privato non lo farebbe. Come detto, però, noi offriamo un servizio e facciamo venire persone sul territorio. Se io penso che quest’anno sia stata un’anomalia, con un mese e mezzo di temperature alte, allora si può andare avanti, ma se le cose continuano così o peggiorano diventa difficile. Credo che a queste quote ancora per una decina o ventina d’anni dovremmo riuscire a continuare a sciare, poi bisognerà ragionare diversamente.

Noi ci stiamo attrezzando con lo skiroll, ma certo che fare una gara di skiroll a Bionaz a dicembre sarebbe davvero brutto”, conclude Valter Nicase con un sorriso amaro. La situazione climatica non è diversa nel resto d’Europa e del mondo, e Didier Bionaz può fornirne una testimonianza diretta: “Tra Mondiali e Coppa del Mondo ho girato parecchio, e si fa sempre più fatica ad avere neve, o si trova caldo e pioggia, condizioni che un po’ di anni fa sicuramente non c’erano. Bisogna iniziare a ragionare su come agire, perché la situazione è complicata e bisogna fare attenzione. Ogni anno sembra davvero sempre più difficile”.

Dallo sci di discesa allo scialpinismo e freeride: così Crévacol ha anticipato i tempi

In una regione, la Valle d’Aosta, da sempre “dicotomizzata” tra sci di discesa e sci di fondo, con le rispettive località solitamente vocate ad una sola delle due discipline, mancava un’opzione in cui lo scialpinismo venisse in qualche modo riconosciuto. È proprio qui che Saint-Rhémy-en-Bosses, piccolo comune nella Valle del Gran San Bernardo, ed in particolare Crévacol, hanno saputo emergere e differenziarsi, proponendo una vera e propria rete di circa 40 itinerari confluiti nel progetto Skialp Grand Saint Bernard, a cui si aggiungono quelli sul versante svizzero.

Da pratica di nicchia, lo scialpinismo è diventato molto popolare nel periodo del lockdown, con gli impianti di risalita chiusi ma con la possibilità di poter indossare gli sci con le pelli per risalire i pendii e scendere nella neve intonsa. Da allora in tanti hanno continuato a dedicarsi a quest’attività e la vallata del Gran San Bernardo ha saputo anticipare i tempiil progetto nasce nel 2018 ma l’idea è ancora precedente – venendo ripagata con una forte presenza turistica, anche straniera, e con prospettive nuove. Pian piano, quindi, la piccola stazione di Crévacol sta mettendo in secondo piano la sua vocazione per lo sci di discesa – esiste un impianto gestito dalla Pila spa – per puntare su scialpinismo e freeride. Ettore Personnettaz incarna, vive e respira lo sport valdostano outdoor, in particolare queste due discipline e la splitboard, di cui ha anche scritto. Il progetto Skialp GSB rappresenta un punto di svolta: “Sono state fatte diverse azioni grazie al progetto, tra cui la costruzione di bivacchi, creazione di un’associazione che raggruppa i diversi attori del territorio, e soprattutto la valorizzazione dei percorsi scialpinistici che già esistevano attraverso mappe e applicazioni”, spiega l’istruttore nazionale di snowboard. “Per valorizzare lo scialpinismo servono le strutture, i servizi, fare rete, ed è quello che è stato fatto con il progetto. In parallelo sono state anche organizzate diverse attività di sensibilizzazione e prevenzione: aumentando i frequentatori della montagna bisogna aumentare anche la consapevolezza e l’attenzione”. Tra le azioni legate alla diminuzione del rischio ci sono dei campi per insegnare l’utilizzo dell’attrezzatura di autosoccorso, di pala, artva e sonda. 

I cambiamenti climatici, infatti, non impattano soltanto su questa differenziazione della vocazione, ma anche sul discorso della sicurezza: “Vista l’imprevedibilità del meteo, spesso dopo una nevicata la gente si organizza per fare una gita e sfruttare la finestra giusta, anche se sarebbe meglio aspettare qualche giorno. Anche per noi professionisti la valutazione del rischio diventa sempre più complessa, perché passiamo da un weekend invernale ad uno primaverile”, continua Personnettaz. “Quando ero bambino nevicava meno ma più costantemente. Oggi ci ritroviamo con un metro e mezzo di neve, poi per un mese magari non nevica più, poi fa di nuovo un metro che si posa sulla neve sciolta e non compatta, anche a causa della sabbia del deserto, e questo crea molta instabilità e aumenta i pericoli. Il rischio zero non esiste, esiste il fattore ‘doppia F’: fortuna e fatalità”. Personnettaz ha circa 40 anni di esperienza sulla neve ed è in grado di sottolineare come il mondo dello sci sia inesorabilmente cambiato: gli skilift che usava da bambino – a Doues, a Etroubles, a Flassin, al Col Menouve sul versante svizzero – non esistono più. “Le località sotto una certa quota e con una certa esposizione non possono più funzionare se non con l’innevamento artificiale. Ma io mi sono occupato per due anni di una piccola stazione sciistica, e se non ci sono determinate condizioni di clima e acqua sotto una certa quota diventa impossibile anche quello, è quasi un accanimento terapeutico”.

C’era una volta un impianto a 1000 metri di quota

C’è stato un tempo, non troppo lontano, che di neve in Valle d’Aosta ne cadeva tanta, anche a basse quote. Chi è nato fra gli anni Settanta e Ottanta ricorderà la gioia per quelle maxi nevicate che portavano le scuole a chiudere anche ad Aosta. Ricordi lontani.
A ricordarci la presenza della Dama Bianca per tutto l’inverno anche sotto i 1000 metri di quota sono i resti di una ventina di impianti col tempo dismessi. Sciovie dove migliaia di bambini valdostani hanno messo per la prima volta gli sci ai piedi, appassionandosi a questo sport.
Ozein, frazione di Aymavilles a 1363 metri, Flassin, frazione di Saint-Oyen a 1280 metri, Semon, frazione di Saint-Denis a 1360 metri, Morgex a 920 metri, La Salle a 1000 metri o ancora Doues a 1.176 metri. Nel 1976, anno in cui venne fondata in Valle d’Aosta, l’Avif, l’associazione valdostana impianti a fune, si contavano 56 esercenti di impianti. Aziende nate su iniziativa di poche persone, che senza spesso alcun aiuto pubblico – solo in alcuni casi queste iniziative furono supportate dai comuni – contribuirono a cambiare il turismo valdostano, fino a quel momento basato sulla sola stagione estiva. Negli anni Ottanta il boom, con lo sci diventato il traino principale dell’economia turistica valdostana. Sono quelli anche gli anni però dove molte delle piccolissime società, che gestivano una o due sciovie, furono costrette a chiudere, sia per la scarsità di precipitazioni nevose a quote medio basse, sia per la difficile sostenibilità economica. Una di queste è la Sticsa, società turistica incremento Challand-Saint-Anselme fondata nel 1973 da quattro imprenditori. Uno skilift a 1000 metri di quota che rimase in funzione per circa dieci anni e di cui oggi rimangono ancora dei pali, ben visibili dalla vicina strada regionale.

Le altre si raggrupparono in realtà più grandi, iniziando i primi importanti investimenti sugli impianti di innevamento artificiale. Il primo è del 1985 a Champoluc, seguito l’anno dopo da quello della Val Veny. Per competere con Francia e Svizzera e le altre realtà alpine si puntò sulle innovazioni tecnologiche, per migliorare l’offerta. Dalle 33 società di inizio anni Novanta si passò alle 29 di inizio anni 2000, per arrivare poi negli ultimi anni a 10 aziende che gestiscono 159 impianti con una portata oraria di poco inferiore a 240.000 p/h; 3.370 postazioni per la produzione di neve programmata e 2.600 generatori di neve. Una “potenza di fuoco”, che molte volte negli ultimi inverni è rimasta ferma, a causa di condizioni meteo tutt’altro che invernali.
Nonostante il paesaggio autunnale se non primaverile, piste non sempre ben innevate e skipass non proprio alla portata di ogni tasca, lo scorso inverno le società di impianti di risalita hanno registrato fatturati record. Risultati che continuano a spingere Regione e aziende a investire, ad esempio nello stoccaggio di acqua in bacini artificiali o in sistemi di innevamento ancora più performanti, ma anche a sognare mega comprensori, a quote ancora più alte. “Con pochi giorni di freddo a inizio stagione riusciamo a innevare le piste” spiega Giorgio Munari, amministratore delegato della Monterosa Ski. “Ogni metro cubo di acqua si fanno due metri cubi di neve. A stagione riusciamo a produrre 800.000/900.000 metri cubi di neve. L’energia per produrla incide per circa il 15 – 20% sul bilancio